3 ricette per vincere la sfida dell’Esperienza Cliente
Intanto cerchiamo di capirci su questa benedetta Esperienza Cliente, o Customer Experience se ti piace l’inglese, o CX se ti piacciono le abbreviazioni.
Che cos’è la Customer Experience?
Tieni da parte le filosofie, le sovrastrutture, la teoria.
Ti do una definizione concreta, tutta mia.
Customer Experience significa questo:
dai alle persone degli ottimi motivi per pensare che il tempo e i soldi che spendono con te non potrebbero essere spesi meglio, e daglieli sempre, ovunque e continuamente.
Punto.
Fine.
Se pensi a questo non sbagli.
Se tieni questo come mantra costante non sbagli mai.
E l’effetto collaterale sarà che l’esperienza che offri ai tuoi clienti diventerà nel tempo stra-ordinaria.
Dagli ottimi motivi sempre, ovunque e continuamente.
Ovunque, ovvero:
dagli ottimi motivi su ogni canale in cui il cliente o il potenziale cliente possa entrare in contatto col tuo brand, dal vivo o al telefono, online e offline.
Sempre, ovvero:
dagli ottimi motivi su tutti i punti di contatto che il cliente ha con il tuo brand, sia quelli su cui hai direttamente il controllo, sia quelli su cui non hai controllo.
Perché tu hai controllo sul tuo negozio/palestra/punto vendita, hai controllo sul tuo sito, hai controllo sulle tue pubblicità, ma non hai controllo sui forum, non hai controllo sulle recensioni, non hai controllo sui commenti che le persone fanno a proposito di te.
Continuamente, ovvero:
dagli ottimi motivi lungo tutto il Customer Journey, ovvero il percorso che comincia quando ti conosce per la prima volta, prosegue quando inizia a convincersi che vale la pena interagire con te, poi quando inizia a prendere informazioni, fino a quando interagisce realmente acquistando il tuo servizio, e infine quando parla altrove di te o ti consiglia a qualcun altro.
È una bella matassa.
Come fare per gestire tutta questa complessità?
Voglio condividere 3 ricette.
Ma non tutte oggi.
Oggi una soltanto.
Se ti piace, nei prossimi #Spiegoni (per tutti gli spiegoni, accedi al mio gruppo Facebook: https://alessandroprincipali.com/accedialgruppo ) procediamo con le successive.
Ricetta numero 1.
“I dati sono come il petrolio”.
È una frase di David Buckingham, docente universitario americano.
“Il compito dei professionisti è trovarli, estrarli, lavorarli, distribuirli e monetizzarli”.
Negli ultimi anni si parla tantissimo di Big Data.
Aziende, governi, istituzioni insistono molto su questo concetto: grazie alla tecnologia abbiamo infatti la possibilità per la prima volta nella storia di accedere a un patrimonio infinito di dati.
Possiamo trovarli, estrarli, archiviarli, metterli in relazione fra loro.
Tutto allo scopo di trarne valore.
Ma il punto non è solo quello della facilità di accesso.
C’è un altro aspetto ancora, di ordine quantitativo: ovvero la produzione sovrabbondante dei dati stessi.
La rivoluzione digitale, internet e lo smartphone in primis hanno reso milioni e milioni di persone non più solo fruitori di contenuti.
Siamo diventati di fatto tutti produttori di contenuti interconnessi fra loro!
Ogni volta che accediamo a Facebook, Instagram, YouTube, Tinder, Google, produciamo dati.
Ogni volta che mandiamo email, sms, whatsapp, produciamo dati.
Ogni volta che strisciamo la carta di credito, produciamo dati.
Ogni volta che passiamo sotto una telecamera di sicurezza, produciamo dati.
Ogni volta che acquistiamo online, produciamo dati.
E non siamo mica solo noi a produrre dati.
Quando il frigorifero si accorge che è finito il latte e te ne ordina subito un litro su Amazon, sta producendo dati.
Quando l’orologio si connette con il tuo calendario e ti rammenta che stai facendo tardi all’appuntamento, sta producendo dati.
Quando lo smartphone si connette all’automobile, si ricorda che di solito a quell’ora torni a casa e ti apre la mappa di sua iniziativa, sta producendo dati.
Tutto questo sta creando un cocktail esplosivo di dati.
Prodotti, archiviati da qualche parte e potenzialmente raccoglibili e utilizzabili.
Alcune statistiche dicono che oggi, ogni due giorni, produciamo l’equivalente dei dati prodotti dall’inizio della storia del mondo fino all’anno 2000.
Bum.
Ora, capiamoci.
Noi nel nostro piccolo, per il nostro business, non siamo tenuti governare questa enorme mole di dati.
Ma ho voluto darvi l’orizzonte di riferimento per aiutarvi a comprendere fin dove potremmo teoricamente spingerci.
Per le nostre attività potremmo accontentarci intanto di una porzione minuscola, microscopica.
Per cui domandati: quali sono i dati essenziali, indispensabili, che devi assolutamente possedere dei tuoi clienti?
La maggior parte dei business non posseggono alcun dato dei propri clienti, nemmeno quelli essenziali, fondamentali, basilari (nome, cognome, email, ad esempio).
Come si fa a monetizzare così?
I dati sono il tuo petrolio.
Più cose sai dei tuoi clienti e meglio è, più sai come ragionano e meglio è, più sai come si comportano e meglio è, più sai quanto apprezzano i tuoi servizi e meglio è, più sai dove vorrebbero che tu migliorassi e meglio è.
Quali sono i dati più importanti per la tua attività?
È una domanda alla quale devi rispondere.
E mettere subito in pratica un meccanismo di raccolta.
Tenendo a mente un aspetto fondamentale, però:
la quantità dei dati che possiedi è importante, ma
non ti servono a niente, se non li usi per creare valore.
L’obiettivo è quello di trasformare i dati in informazioni.
I dati diventano informazioni preziose per il mio business solo nel momento in cui mi servono per uno specifico obiettivo.
Altrimenti restano numeri e fatti volatili, utili solo a riempire un foglio Excel.
Tu puoi anche sapere quante persone hanno riacquistato il tuo prodotto una seconda volta o terza volta, quanti aprono frequentemente le tue email, qual è il tasso di conversione di una campagna di marketing, quale l’indice di rotazione in magazzino, quante persone hanno visitato il sito web, …
ma se non li aggreghi, non li analizzi, non li contestualizzi, non li incroci, come fanno a trasformarsi in indicazioni pratiche, operative e strategiche?
I dati hanno senso solo se sono al servizio del business.
Grazie ai dati puoi trasformare gradualmente la tua attività, passando dalla customizzazione alla personalizzazione.
La differenza?
Eccola.
La customizzazione è quella che fa il sarto.
Quando tu vai dal sarto, e gli chiedi un vestito, lui ti prende le misure e così ti fa il vestito su misura.
Customizzazione significa rivolgerti ai clienti cucendo loro addosso il servizio, su loro richiesta.
E guarda che è già una bella cosa.
Ma il tuo obiettivo, a tendere, deve essere quello della personalizzazione.
La personalizzazione è un passo ancora avanti.
Significa rivolgerti a ogni singolo cliente su tua iniziativa, senza che lui te lo chieda.
Con azioni specifiche, mirate, giuste.
Amazon sta testando un servizio per cui ti manda a casa, gratuitamente, alcuni prodotti che ritiene siano di tuo gradimento.
Se ti piacciono li paghi.
Altrimenti se li vengono a riprendere.
Sono così convinti di conoscere i gusti dei loro clienti che, secondo le loro stime, 7 clienti su 10 dovrebbero tenere i prodotti.
Ecco allora la prima ricetta per vincere la sfida della Customer Experience: la Personalizzazione.
Vuoi dare, sempre ovunque e continuamente, ottimi motivi per pensare che tempo e soldi spesi con te non potrebbero essere spesi meglio?
Bene, la prima ricetta è la Personalizzazione.
Come la fai la personalizzazione?
Con i DATI.
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