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Ansia da pubblico ne abbiamo?
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Qualche giorno fa succede questo.
Durante un corso che stavo tenendo, alla prima pausa, una ragazza viene da me e mi fa:
“Io non potrei mai fare il tuo lavoro.
Appena sono davanti a della gente che mi fissa, mi viene l’ansia e mi metto a piangere.
Beato te.
Che non senti niente.”
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Allora, giovane ragazza piangente, vieni qui e ascolta:
“questa è una cazzata”.
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Sai perché?
Perché non esiste una persona sana di mente, che possa mettersi a fare cose di fronte a un pubblico, e non senta neanche un brividino, un formicolìo, un pizzicorino nello stomaco.
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Voglio dire: hai 10, 100 ,1000 occhi che ti guardano e ti giudicano.
Come fa a scivolarti addosso?
La risposta è semplice:
non ti può scivolare addosso.
Ma proprio per niente.
E non importa quanto tu sia bravo a fare quella roba lì.
Anzi, spesso proprio perché sei il migliore, l’ansia aumenta.
Già, perché sai che le aspettative sono molto alte.
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Prendi il basket.
Abbiamo qui nel gruppo diversi appassionati che potranno confermare.
Lo sapete che nei decenni, tutte le statistiche sulle performance dei giocatori sono migliorate?
I giocatori sono diventati tutti più bravi a tirare, più bravi a schiacciare, più bravi a prendere rimbalzi, più bravi a difendere, più bravi a tirare da tre.
Dov’è che da trent’anni non si migliora?
Nei tiri liberi.
(per chi non conosce la pallacanestro, i tiri liberi sono dei tiri “da fermo” che l’arbitro assegna a chi ha subito un fallo).
Insomma, i giocatori nei decenni sono migliorati in tutto, ma continuano a sbagliare il 25-30% dei tiri liberi.
Almeno questa era la statistica fino a qualche anno fa, non so ora se sia cambiata ma non ci sposta il punto.
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Sai perché succede?
Perché quando il giocatore tira, ha troppo tempo per pensare.
Immagina la scena: ha migliaia di occhi addosso.
Tutti lo fissano in silenzio
E lui è solo lì, davanti al suo canestro.
E sai che dipende tutto da lui.
Phil Jackson, che è stato uno degli allenatori più vincenti della storia NBA, diceva così:
“Quando un tiratore tira a canestro, tira a se stesso”.
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Cambiamo sport.
Calci di rigore.
Ve li ricordate i calci di rigore di USA ‘94?
Brutti ricordi eh?
L’Italia perde in finale la Coppa del Mondo, a causa dei maledetti calci di rigore.
Ricordate il Divin Codino, Roberto Baggio, che spara alle stelle l’ultimo rigore decisivo?
Chi quella sera di luglio 1994 stava davanti alla TV, di certo se lo ricorda.
E se lo ricorda ogni notte pure Roby Baggio:
con quel rigore schizzato alla luna, regala la vittoria del Mondiale ai brasiliani.
Eppure ragazzi, Roberto era uno che i rigori li sapeva tirare.
Tra i migliori dei suoi tempi, forse il migliore.
Eppure.
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Sanremo 2015.
Maurizio Crozza, ospite d’onore, irrompe sul palco e inizia il suo attesissimo monologo comico.
Dice le prima battute, e dal pubblico si leva qualche fischio e qualche ululato.
“Basta! Non vogliamo la politica a Sanremo!!!” gridano due o tre disturbatori.
In pochi secondi si alzano le voci di tutti.
Chi grida a Crozza.
Chi grida contro i disturbatori.
Chi grida contro quelli che gridano contro.
Pochi istanti l’Ariston è nel delirio.
Ora, Mauruzio Crozza fa monologhi comici da 30 anni.
Ovunque.
Televisione, radio, grandi palcoscenici.
L’ha fatto di fronte a centinaia, migliaia, milioni di persone.
Saprà affrontare la situazione con nonchalance.
E invece Maurizio Crozza va nel pallone.
Gli si asciuga la bocca e non riesce più a parlare.
Nelle poche parole che spiccia impacciato, si sente chiaramente lo schiocco che fa la lingua quando è secca come un bidone di sabbia.
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E allora, rispondo qui e adesso, virtualmente, a quella ragazza, alla quale sul momento ho dato una risposta parziale.
👉🏼 Amica mia, sei in ottima compagnia.
E allora qual è la strategia per affrontare il compito arduo e gravoso a cui siamo chiamati?
C’è una fitta rete di elementi di supporto.
Ne cito uno, preso dalla psicologia dello sport.
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Nella psicologia dello sport, si usa spesso una tecnica che consiste nel costruire una routine.
Una routine è una sequenza di azioni.
Uno schema verso cui l’atleta nutre fiducia cieca.
Perché ha fiducia?
Perché l’ha provato milioni e miliardi di volte.
Si fida di quella sequenza.
Sa che a ogni micro-gesto deve seguirne un altro preciso, e poi un altro ancora.
Seguire il processo nei minimi dettagli lo aiuta a sentire che sa padroneggiare quel compito.
E’ concentrato nel mettere in atto ogni singolo, millimetrico, gesto della sua sequenza.
E per questo non ha tempo e modi di focalizzarsi su altri pensieri.
Specie quelli negativi.
Non cambia mai il proprio schema, per nessuna ragione al mondo.
Indipendentemente dal contesto, dal contorno, dalle persone presenti, l’atleta è concentrato nel compiere ogni micro-gesto secondo lo schema della sua sequenza provato milioni di volte.
Se il calciatore si è allenato a tirare il calcio di rigore in un certo modo, dovrà farlo in quel modo indipendentemente da ciò che fa il portiere davanti a lui.
Perché qualsiasi cambiamento nello schema provato e riprovato, potrebbe mandare tutto in vacca.
Alterare la routine, per cercare di controllare una situazione esterna, aumenta le possibilità di sbagliare.
E siccome il suo cervello questa cosa la sa, se si accorge di essere tentato di cambiare qualcosa rispetto alla sequenza, sa anche che aumenteranno le possibilità di sbagliare.
E questo fa nascere, o crescere, l’ansia che monta dentro.
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Quindi, mia giovane amica piangente, ascolta:
Non si tratta di negare la presenza delle persone davanti che ti osservano, ti fissano e ti giudicano.
l’idea è quella di aver già incamerato prima uno schema di gestione della situazione.
Averla gestita attraverso la preparazione, e la sperimentazione, di una sequenza millimetrica di cui ti fidi.
In questo modo il cervello sa già che sa gestirla.
Ora va, e parla alle genti.
PS: e poi, oh.
Che ci sia un po’ d’ansietta, sapete che vi dico? Bene cosi.
Sennò sai che palle.