“Spero non le dirai che le intelligenze artificiali porteranno via il lavoro!”
Comunicare te stesso, sai come fare?
Commentava così Fabio Occhipinti, membro del mio gruppo chiuso di Facebook Officina2030 alcuni giorni fa, mentre seguiva la replica dell’intervista che ho avuto il piacere di rilasciare a Gabriella Dellisanti, fondatrice di ReSleeping® e anche lei membro del mio gruppo.
[ Se vuoi vederla, ecco qui, dura una mezz’oretta: https://www.facebook.com/dellisantigabriella/videos/149933599671082/?vh=e&d=n]
Mi era stato appena chiesto “Come vedi il futuro professionale?”.
E, prima ancora che iniziassi a parlare, Fabio lasciava il suo commento al video, esprimendo la speranza che non lanciassi la bomba sui poveri ascoltatori 😀
Già, perché per certi versi sarebbe stato meglio usare parole più morbide.
Sarebbe stato più delicato prenderla alla larga.
Sarebbe stato più digeribile se avessi usato giri di parole.
Sarebbe stato, sì.
Ma non sarebbe stato il mio messaggio.
Vedi, il commento di Fabio mi ha fatto riflettere.
Fabio si aspettava che io dicessi una certa cosa, e io l’ho detta, precisa precisa a come se la aspettava lui.
Ora, gli ingenui potrebbero pensare che questo è un fatto negativo.
Già, perché se le persone che ti ascoltano sanno già cosa dirai…allora che ti ascoltano a fare?
Che vantaggio c’è nell’ascoltare qualcuno che sai già cosa dirà?
Non si dovrebbe forse ascoltare qualcuno perché ci dica qualcosa di nuovo, qualcosa di inaspettato, qualcosa di originale?
Sì, ma anche no.
Cioè?
Continua a leggere.
Da bambino, ogni mercoledì infilavo in tasca 1.200 lire, che i miei genitori mi elargivano generosamente, uscivo di casa e imboccavo la via principale, 200 metri circa, fino alla piazzetta.
Lì sorgeva un’edicola che oggi non c’è più.
Bastava che mi affacciassi e il giornalaio sapeva già cosa dovesse fare.
Infilava la mano in mezzo a un mucchio di riviste incellofanate e la tirava fuori soltanto quando stringeva in mano lui.
Lui: Topolino.
Avevo tutto un mio rituale nella lettura di Topolino.
Prima scorrevo l’indice delle storie con attenzione, e sceglievo la prima storia che avrei letto.
Come prima storia sceglievo sempre quella che aveva per protagonista Paperino, poi quella con Topolino, poi le altre.
Prima di iniziare a leggere, però, lo sfogliavo tutto velocemente, per vedere lo stile di disegno e il tratto di ogni singola storia.
Poi provavo a indovinare il nome dei diversi disegnatori che avevano ritratto i vari episodi.
Già, perché ero diventato capace di riconoscere al volo il nome del disegnatore di turno, osservandone il tratto.
Una specie di sommelier di Topolino.
“Uhm…colore chiaro, tratto deciso, forme tondeggianti. Dev’essere un Giorgio Cavazzano”.
Senti qua.
Topolino esce per la prima volta nel 1932, Superman nel 1939, Tex Willer nel 1948, Diabolik nel 1962, Dylan Dog nel 1986, e mi fermo qui, ce ne sarebbero così tanti.
Perché ti dico tutto questo, e cosa ha a che fare con il commento di Fabio alla mia intervista?
Vedi, ti sei domandato per quale motivo, per anni e anni, a volte decenni, continuiamo a leggere le storie di personaggi di cui sappiamo già tutto?
Già, perché le storie di questi personaggi sono pressoché sempre le stesse.
Forse il lettore di Superman vuole sapere se stavolta il suo supereroe se la caverà o meno???
Certo che no!
Sa già perfettamente che se la caverà!
Come il lettore di Diabolik sa già che porterà a termine il colpo.
Come il lettore di Paperino sa già che si caccerà in un guaio.
Come il lettore di Dylan Dog sa già che si porterà a letto la giovine ninfetta di turno.
Non è come quando vedi un film per la prima volta. Non ci sono colpi di scena nei comportamenti dei personaggi.
Eppure, siamo lì a leggere ogni singola pagina.
Ci piace continuare a vedere i nostri personaggi fare e dire esattamente le cose che ci aspettiamo facciano e dicano.
Da un anno sono diventato padre di una bimba, di cui sono pazzo.
Qualche mese fa ha iniziato una fase di crescita in cui comincia a concepire le azioni in una relazione di causa-effetto.
Ovvero, ha iniziato a capire che SE fa una certa cosa, ALLORA ne accade un’altra.
Ad esempio, prende un giocattolo, lo lasca cadere giù dal seggiolone, e poi si affaccia immediatamente per vederlo sbattere a terra.
Lo riprendo, glielo ridò, e lei lo lascia nuovamente cadere, per poi affacciarsi e vederlo sbattere nuovamente a terra.
Non è l’effetto-sorpresa che la diverte, perché sa già precisamente cosa succederà: se lo lascia cadere, quello precipiterà a terra e sbatterà.
Allo stesso modo, si avvicina a cassetti che sa essere off-limits, allunga la mano per aprirli e si gira a guardarmi.
Quando si gira, trova il mio sguardo severo (per inciso, faccio una fatica abnorme a guardarla con severità 😀).
Bada bene: si gira APPOSTA perché SA GIÀ che troverà il mio sguardo di dissenso.
Insomma, trova compiacimento nel vedere che le cose si sviluppano esattamente come lei le ha previste.
Il piacere consiste proprio nel fatto che le cose vanno PRECISAMENTE come lei si aspetta che vadano.
È ancora piccola, ma fra un po’ arriverà il momento in cui mi chiederà di leggerle le storie.
E – so già – mi chiederà di leggerle centomilionidicazzodivolte la stessa storia.
A loop, fino alla nausea.
Pur sapendo già che il principe, alla fine, quel drago riuscirà a sconfiggerlo, e che la principessa alla fine si farà sposare.
Non importa che sappia già tutto, vorrà sentirselo raccontare mille volte, e poi ancora mille.
Segna: nella nostra professione, ognuno di noi deve costruire un personaggio.
Un personaggio che abbia tratti chiari e distinti.
Le persone che ci seguono devono sapere esattamente cosa pensiamo.
Devono sapere quali sono i nostri chiodi fissi, cosa ci spinge, cosa ci motiva, cosa ci piace e cosa ci fa incazzare.
Devono saperlo, perché nessuno si affeziona a personaggi opachi.
Ci affezioniamo a tutto ciò che è talmente preciso da diventare persino prevedibile.
Chi ci ascolta deve sapere già perfettamente qual è la nostra visione delle cose.
E allora – dirai – perché dovrebbe ascoltarmi se sa già cosa ho da dire? Come faccio a essere interessante se non offro mai un elemento di originalità?
Risposta: l’elemento interessante non deve nascere dal fatto che ogni giorno tu offra una visione delle cose diversa dal giorno precedente.
Nossignore.
L’elemento interessante nasce dal modo in cui ogni giorno applichi e modelli la tua visione delle cose – sempre uguale a se stessa! – a temi e argomenti nuovi.
Quando leggo Dylan Dog, io so già che si comporterà in modo indolente e pessimista.
Non mi aspetto che si comporti in modo diverso.
Anzi, mi piace proprio perché è fedele a se stesso, e perché sono in grado di prevedere come si comporterà.
MA.
Ma mi piace vedere come ogni volta la sua indolenza si modelli sul contesto circostante (che cambia!), e a quali conseguenze porti.
E allora, per concludere.
Io sono felice che Fabio abbia saputo anticipare una mia risposta prima ancora che io la dessi.
Significa che i miei tratti distintivi e le mie convinzioni gli sono chiare.
Ora, la sfida che ti lancio è questa: i tuoi clienti saprebbero prevedere le tue parole e i tuoi comportamenti in diverse circostanze?
In poche parole, il tuo personaggio a cui poterci affezionare…a che punto è?