Cosa conta davvero nella comunicazione di marketing
Un giorno alle elementari ci raccontarono di quanto la nostra città avesse bisogno di una sostanziosa ripulita.
Roma è una grande città, un’ampia metropoli, una capitale articolata e complessa.
Le emissioni di smog avevano superato i livelli di guardia, le strade erano piene di rifiuti gettati in terra da turisti ed autoctoni, e molti quartieri erano invasi di buste d’immondizia.
Avrò avuto 7-8 anni, e le maestre ci sfidarono:
“inventate una pubblicitá-progresso per convincere i romani ad avere cura della propria città!”.
Ci pensai su, e nel giro di pochissimi minuti buttai giù l’idea.
Disegnai un Colosseo antropomorfo, con gambe e braccia, e un enorme sorrisone nel centro.
Il bizzarro personaggio che ne era uscito fuori, col corpo di Colosseo e gli arti di uomo, in una mano stringeva una grande spazzola, e nell’altra un sapone pieno di bolle.
Con la spazzola si strofinava vigorosamente il corpo, e dallo sguardo sembrava proprio che se la stesso godendo di lusso.
Un poderoso getto d’acqua scrosciava dall’alto proprio dritto sul suo testone, a creare una vaporosa e abbondante schiuma su tutto il capo.
A chiudere, uno slogan inventato lì per lì campeggiava sul fondo, a caratteri grossi e colorati:
“Roma capoccia…fatte ‘na doccia!”.
Ero super orgoglioso della mia piccola creazione.
La maestra ritirò tutti i disegni e li portò via per valutarli.
Passarono giorni, settimane, mesi.
Dopodichè, incredibilmente, se ne dimenticò.
Sono trascorsi 30 anni, e ancora mi domando se quella fosse una grande idea o una stronzata gigante.
La maestra non me lo disse.
Vi racconto questo aneddoto per due motivi.
1. Quello illustrato è il meccanismo con cui vengono concepiti la maggior parte dei messaggi di marketing.
Ovvero, si cerca affannosamemte l’idea più divertente, più accattivante, più briosa.
Da questo punto di vista, uno degli spot più riusciti di sempre in epoca moderna è quello del tipo che sta lavando i piatti e sente delle urla provenire dalla casa della vicina.
Le grida sono quelle della vicina stessa, che sta parlando al telefono ed è visibilmente infuriata con il suo partner.
Al termine della sfuriata lancia l’ultimo strillo:
“io adesso esco e vado col primo che incontroooo!!!”.
Fa per prendere nervosamente l’uscio e proprio davanti alla porta gli si para il vicino, con ancora indosso i guanti per i piatti, che con ghigno sornione e piacione sussurra:
“Buonassseeeera!”.
Sono sicuro che questo spot ve lo ricordate tutti.
Risale a 18 anni fa, e ancora oggi quel “Buonassseeera” è uno dei tormentoni più ricorrenti e ricordati con maggiore simpatia dal pubblico a casa.
Da un punto di vista creativo, una delle trovate pubblicitarie migliori di sempre.
Veramente chapeau.
C’è un problema però.
Nessuno si ricorda che diavolo pubblicizzasse quello spot.
Un detersivo? Un negozio d’abbigliamento? Un teatro? Un profumo?
Cosa?!?
Vabbè, direte voi, ma sono passati anche quasi vent’anni.
Come faccio a ricordarmi?
Beh, sappiate che anche nel 2001, anno di uscita dello spot, nessuno era in grado di dire cosa cacchio promuovesse.
Tutti ridevano e si davano gomitate di compiacimento, tutti ripetevano il tormentone a memoria (era un “buonassseeeraaa” continuo, dappertutto, ovunque andassi), tutti dicevano “hai visto che spasso il nuovo spot che danno in tv??”.
Ma quando domandavi loro “ma è lo spot di che?!”, ecco che tutti si imbambolavano fissando il vuoto tipo macachi.
La trovata era talmente divertente che l’attenzione del pubblico andava tutta lì, sulla battuta finale.
Solo che un secondo dopo c’era l’oggetto dello spot e nessuno a quel punto se lo filava più, troppo preso a sghignazzare fra sè o con gli altri, magari immedesimandosi nel coraggioso e maldestro giovanotto protagonista della scena.
Ora, capite che se dopo aver visto uno spot non sai dire cosa questo ti stia chiedendo di comprare, c’è un problema.
2. Il secondo motivo per cui vi ho raccontato il mio aneddoto personale è che vorrei fosse chiaro un punto: io non ho nulla contro l’espressione della creatività, anzi!
Nella mia vita ho scritto canzoni, ho recitato, ho organizzato eventi a tema, ho composto sonetti.
Amo con tutto me stesso l’estro, di cui sono umile servitore, e guardo con sincera ammirazione – e un pizzico di invidia, lo ammetto – artisti, creativi, geni sregolati.
Il punto però è che la creatività nella comunicazione è estremamente rischiosa.
Il pericolo che la forma brilli più della sostanza è dietro l’angolo.
Anzi, è quasi sempre così.
In fondo, quando l’idea è bella ti distrae dal messaggio chiave.
E quando l’idea è brutta pensi “madonna che orrore”.
In entrambi i casi, il focus sul messaggio l’hai perso.
Compito a casa: riprendi tutta la comunicazione che hai prodotto sinora e verifica che non ci siano fronzoli in grado di distogliere l’attenzione da queste tre domande:
– Cosa deve fare il cliente
– Perché deve farlo con te
– Perché deve farlo adesso
Il resto, taglialo via.
Anche se ti piaceva tantissimo.
Pazienza.
E come me 30 anni fa, resterai per sempre nel limbo, a domandarti “chissà, magari sarebbe stata un’idea fichissima!”.