Il Motivo per cui quello che dici non conta nulla per il Cliente
Immagina che stai camminando un mercoledì sera per le vie della tua città.
Hai fatto tardi al lavoro, e poi ti sei fermato a mangiare un boccone in giro con qualche collega.
Fra una chiacchiera e l’altra, si è fatto tardi.
Sono circa le 23:00, e stai camminando a passo deciso verso casa.
Per abbreviare il tragitto decidi di passare in un vicolo secondario, che taglia l’isolato ed è piuttosto buio e lontano dai rumori della via principale.
Basta percorrerlo per 5 minuti circa, e sbucherai finalmente sotto il portone di casa tua.
Sei sovrappensiero, stai rimuginando sulle tante cose che dovrai gestire l’indomani al lavoro.
A un certo punto, assorto nei tuoi pensieri, senti un rumore sordo provenire dalla strada dietro di te:
“tam tam”.
È un suono ovattato, sembrerebbe arrivare lontano.
Un rumore di passi, probabilmente.
Nemmeno il tempo di riflettere ed ecco che “tam tam tam tam tam”.
Sì sono passi, e si fanno sempre più serrati, sempre più veloci, sempre più vicini.
D’istinto inizi ad accelerare il passo, prima camminando, poi sempre più veloce fino quasi a correre.
Ancora pochi metri e sei sulla via principale.
È abbastanza illuminata, è ampia, e c’è ancora gente in giro nonostante l’ora tarda.Tiri un sospiro di sollievo, è andato tutto bene.
Ti volti indietro e non vedi arrivare nessuno.
Continui a camminare, e una volta sotto casa, infili le chiavi nel portone guardandoti nervosamente a destra e sinistra per assicurarti che nessuno ti stia osservando.
Sali di corsa a casa, ti spogli e ti infili nel letto.
Ma fatichi a prender sonno.
“Eppure qualcuno mi stava seguendo!”, pensi fra te e te.
Arriva l’alba, ti alzi dopo aver dormito poco e male.
“Eppure qualcuno mi stava seguendo!”, continui a ripeterti.
Non saprai mai cosa fosse quel rumore.
Poteva effettivamente trattarsi di passi umani.
E potevano essere di qualche malintenzionato.
O forse no, potevano appartenere a un onesto vecchietto sceso in strada a gettare la spazzatura.
Poteva trattarsi di un animale, o di un sasso che rotolava, o di un pacifico padre di famiglia che tornava a casa.
Nessuno lo saprà mai.
Eppure, pur non sapendo razionalmente di cosa si trattasse, il tuo cervello si è attivato e ha agito immediatamente, mettendo in moto le tue gambe e spingendole a correre via dal pericolo.
E c’è di più:
pur non avendo alcuna prova, anche l’indomani ti resta addosso quella spiacevole sensazione, quella di chi ha sfiorato qualcosa di molto brutto.
“Ieri sera mi stavano seguendo per strada”, racconterai ai colleghi davanti la macchinetta del caffè.
Cosa ci insegna questo banale episodio?
Pariamone.
1) Il nostro cervello é una macchina meravigliosa.
In milioni di anni, ha registrato e fatto propri degli automatismi che rispondono a schemi mentali precisi.
Non ha bisogno di conoscere ogni singolo dettaglio del contesto.
Gli bastano invece pochissimi bit di informazione (un suono “tam tam”, ad esempio) per farsi immediatamente un’idea coerente dell’intero quadro, e attivare così delle azioni.
In fondo, i nostri antenati basavano la propria sopravvivenza su questa capacitá:
capire al volo se quel rumore dietro le fronde venisse da un pacifico animale o da un ominide nemico determinava la probabilità di vivere o morire.
Chi aveva questa capacità, sopravviveva.
Gli altri, no.
E noi discendiamo da quelli che sono sopravvissuti, per cui ci portiamo dietro quella capacità bella e buona.
Capacità che applichiamo continuamente.
Non abbiamo (quasi) più bisogno di capire al volo cosa sia quel rumore dietro le foglie, ma abbiamo altri bisogni.
Dobbiamo capire all’istante se fidarci o meno di una persona, se accettare o meno un’offerta, se cogliere al volo un’occasione.
E nel farlo, attiviamo gli stessi meccanismi.
Puoi chiamarli schemi mentali, puoi chiamarli pre-giudizi, puoi chiamarli bias cognitivi.
In ogni caso, si tratta di vere e proprie “scorciatoie” che il cervello prende nel capire un concetto, nell’elaborare un’idea, nel farsi un quadro della situazione.
In poche parole:
le nostre idee non si formano sulla base di lunghe analisi dettagliate, ma piuttosto sulla base di scorciatoie mentali che il cervello imbocca.
A volte questo meccanismo ci salva la pelle.
Altre volte invece ci fa prendere enormi granchi.
2) Questa è un po’ più forte:
la realtà non esiste.
Intendo dire che non esiste una realtà oggettiva.
Esiste solo quello che ciascuno di noi percepisce.
Per cui non importa che quella sera tu sia stato realmente inseguito nel vicolo o meno.
Importa il fatto che il tuo cervello l’abbia registrato così, tant’è vero che ti è restata addosso quella brutta sensazione persino il giorno successivo.
Per la stessa ragione ci viene da piangere guardando un film romantico, o ci spaventiamo con un film dell’orrore.
Eppure sappiamo benissimo che si tratta di finzione.
Ma non importa, perché lo percepiamo come vero.
Teniamo a mente con forza tutto questo nel nostro business come Professionisti.
Non importa come stiano realmente le cose, importa come vengono percepite.
Qualsiasi cosa esiste solo in quanto percepita.
Non esiste nulla al mondo che non passi attraverso le percezioni di ciascuno di noi.
Non importa quanto siamo stati bravi nel mostrare le nostre capacità a un cliente, importa quello che ha percepito.
Non importa quello che abbiamo detto, importa quel che è stato compreso.
Non importa quanto siamo competenti, importa come siamo recepiti.
È inutile perdersi nel dire che non veniamo compresi, non veniamo apprezzati, la gente non sa capirci.
La domanda corretta è:
come faccio per farmi capire, cosa faccio per farmi apprezzare, come mi attivo per far comprendere il mio valore?
Compito della settimana.
Da ora in poi, qualsiasi cosa farai, domandati come questa verrà percepita.
E se esiste (ed esiste) la possibilità che venga percepita diversamente da come vorresti, poniti la domanda successiva:
come posso indirizzare la percezione dove voglio io?