La verità è che non gli piaci abbastanza
Mi piace inventare cose.
Ad esempio, qualche mese fa ho dato forma a una ninna nanna per mia figlia, che ha appena compiuto un anno e mezzo.
A forza di improvvisare rime e ritornelli per farla addormentare, aggiungendo ora una strofa, ora un’altra, notte dopo notte la ninna nanna si è praticamente composta da sola.
Non è scritta da nessuna parte, è incisa soltanto nella mia testa.
Voglio che tu sappia che è una ninna nanna bellissima.
Lo so, starai pensando che è come quando si chiede all’oste se il vino è buono.
Quello non potrà che risponderti:
“Certo che è buono!”.
Ma credimi, è veramente bellissima.
Mi spingo a dire che è la ninna nanna più bella che sia mai stata creata nel mondo.
Gliel’ho cantata dozzine di volte nei mesi passati, e ogni volta lei sembrava gradire molto.
Mi fissava sognante, poi lentamente chiudeva gli occhi scivolando fra le braccia di Morfeo.
Tutto bellissimo.
Il problema è nato da quando mia figlia ha iniziato a parlare.
È una bimba piuttosto sveglia, e ha cominciato a sviluppare il linguaggio abbastanza presto, arricchendo rapidamente il proprio vocabolario.
Così, da una sera all’altra, si è creato inaspettatamente un piccolo grande conflitto.
Una sera, come da mia abitudine, ho iniziato a intonare la mia meravigliosa creazione.
Ma lei mi ha interrotto bruscamente a metà della prima strofa dicendo:
“Basta. Esante”.
“Esante”, nella sua lingua, sta per “elefante”.
Si riferisce alla conosciutissima canzoncina per bambini che recita
“un elefante si dondolava sopra il filo di una ragnatela”.
La conoscete tutti senz’altro.
E tutti concorderete che è una canzone idiota.
Una nenia noiosa e senza mordente, che accompagna una trama strampalata secondo cui un numero crescente di elefanti dovrebbero inspiegabilmente dondolarsi su una ragnatela e, non paghi, sarebbero talmente entusiasti di questo gioco stupido che uno dopo l’altro vanno a chiamare altri elefanti, in un crescendo senza fine di pachidermi dondolanti.
La canzone è orribile, possiamo affermarlo.
Eppure, quella sera mia figlia mia ha interrotto nel bel mezzo della mia straordinaria performance perché preferiva ascoltare questa idiozia anziché la mia impareggiabile ninna nanna.
“Va bene”, ho pensato, “per una volta avrà semplicemente voglia di cambiare”.
La sera successiva, identica scena.
“Basta. Esante!”
Ancora! Non potevo crederci!
E così via, una sera dopo l’altra.
Quella ingrata di mia figlia non ne voleva sapere di ascoltare la mia canzone.
Dovevo accettare l’amara verità: alla ninna nanna che suo padre aveva composto per lei attingendo a tutte le proprie risorse creative, preferiva chiaramente questa cantilena per mentecatti.
Ho capito una cosa.
Fino a quella sera non si era mai lamentata non perché fosse soddisfatta.
Non mi aveva mai detto nulla semplicemente perché non sapeva parlare.
Non appena ha avuto gli strumenti per dichiarare le proprie preferenze, non ha esitato nemmeno un attimo a zittirmi.
Praticamente mi ha stroncato con un “Basta! Esante!” che ha per sottotitolo
“Tienila per te la tua canzone, a me piace un’altra”.
Ora, quale lezione c’è da imparare qui?
(a parte il fatto che mia figlia ha gusti di merda).
Facile.
L’errore che facciamo ogni volta che portiamo un prodotto sul mercato è che riteniamo di sapere noi cosa debba piacere al nostro pubblico target.
Ci sforziamo tantissimo per partorire un’idea, per darle una forma e un corpo, per definirla fin nei più minuti dettagli.
Siamo sicuri che piacerà.
Poi la lanciamo e…puf.
Non è così.
Non piace.
O perlomeno non piace tanto quanto ci aspettassimo.
La prima reazione è di delusione assoluta.
“Non capiscono niente”, ci difendiamo.
“Non comprendono il valore di quello che sto offrendo”, rimuginiamo.
“Evidentemente devo spiegarla meglio”, pensiamo.
Quasi sempre, la verità è un’altra.
Parafrasando il titolo di un famoso film:
“La verità è che non gli piace abbastanza”.
Non è che non hanno capito.
È che proprio il prodotto, il servizio, la soluzione non sono giusti per loro.
Basta, non potrebbe essere più semplice di così.
Possiamo rimanerci male, è comprensibile.
Ma se non decidiamo di cambiare completamente approccio, continueremo a restar male tante altre volte.
Esiste una sola strada per offrire al cliente un nuovo prodotto o servizio che sia di suo gradimento.
Ed è la strada più intuitiva di tutte, solo che non la percorriamo mai, presi come siamo dal nostro ego presuntuoso che ci fa credere di avere sempre le risposte giuste in mano.
La strada è questa:
per sapere cosa vogliono i clienti, devi chiederlo a loro.
Altra via non c’è.
Chiedi ai clienti cosa vorrebbero ricevere e in quale forma.
Dopodiché, crea un servizio che risponda a quella richiesta e proponiglielo.