____________________________________________________
Molti nemici, molto consenso
____________________________________________________
Matteo Salvini in piazza San Giovanni a Roma.
Matteo Renzi a Firenze alla Leopolda.
Matteo Renzi a Firenze alla Leopolda.
In pochi giorni eserciti di persone hanno risposto con entusiasmo e passione al richiamo di questo o quel leader.
E la stessa scena la vediamo ogni volta che qualcuno chiama le piazze a raccolta.
Ma cosa spinge le persone ad andare in piazza?
Negli anni ’70 lo psicologo britannico di origine polacca Henri Tajfel voleva scoprire quanto fosse facile portare persone normali a commettere genocidi.
Lo scopo di Tajfel era quello di esplorare come funzionassero i meccanismi che portano le persone a identificarsi con un gruppo e a discriminare tutti gli altri.
Nei suoi celebri esperimenti, Tajfel testò i soggetti assegnando loro compiti semplici e poco rilevanti, come ad esempio indicare quale pittore preferissero o indovinare il numero di puntini su uno schermo.
Poi assegnò ogni partecipante a un gruppo diverso, basandosi esplicitamente
sulle risposte che avevano dato. In questo modo i soggetti venivano suddivisi sulla base di differenze veramente risibili: ad esempio, da una parte chi prediligeva i dipinti di Klee e dall’altra chi prediligeva Kandinskij, o simili sciocchezze.
sulle risposte che avevano dato. In questo modo i soggetti venivano suddivisi sulla base di differenze veramente risibili: ad esempio, da una parte chi prediligeva i dipinti di Klee e dall’altra chi prediligeva Kandinskij, o simili sciocchezze.
Una volta costituiti i gruppi, Tajfel riuscì pian piano, con i più meschini escamotage, a creare artificialmente fedeltà all’interno di ciascun gruppo, e al contempo meccanismi di discriminazione verso chi non ne faceva parte.
Ad esempio, quando ai gruppi fu richiesto di distribuire premi reali, i soggetti diventavano fedeli al proprio gruppo, e si mostravano avari e diffidenti verso l’altro.
Questo esperimento fu condotto e proposto con numerose variazioni, e in tutti i casi si evidenziava come le persone sviluppassero fedeltà di gruppo molto velocemente, anche in assenza di differenze reali o significative.
Non soltanto i membri del proprio gruppo venivano genericamente preferiti rispetto ai membri dell’altro gruppo, ma i soggetti iniziavano in pochissimo tempo a percepire sé stessi come gruppo diverso, migliore e contrapposto all’altro.
Non soltanto i membri del proprio gruppo venivano genericamente preferiti rispetto ai membri dell’altro gruppo, ma i soggetti iniziavano in pochissimo tempo a percepire sé stessi come gruppo diverso, migliore e contrapposto all’altro.
Emergeva cioè la forte tendenza degli esseri umani a creare una netta distinzione fra un NOI e un LORO.
Secondo la teoria dell’identità sociale, nell’essere umano è innata la tendenza a costituirsi in gruppi.
Non importa quanto banali o minimali siano le differenze fra i gruppi: l’autosegregazione, e quindi la discriminazione dell’altro, è un processo psicologico istintivo, automatico e immediato.
E non importa quanto i gruppi siano realmente omogenei al loro interno.
Quel che importa è che, una volta costituito il gruppo, i componenti si percepiscano molto simili l’uno con l’altro.
Una volta inserito all’interno di un gruppo, infatti, l’individuo se ne sente parte e percepisce molto più simili a sé le persone al suo interno, di quanto non siano le persone all’esterno.
Ciascuno tende quindi a distinguere il proprio gruppo di appartenenza (ingroup) da quelli di non-appartenenza (outgroup), favorendo i membri del proprio gruppo, e discriminando gli individui fuori dal proprio gruppo.
Questo meccanismo scatta ancor più forte quando al proprio gruppo di appartenenza si contrappone un gruppo considerato opposto al proprio.
L’esperimento di Tajfel è lampante: i due gruppi sono costruiti sulle base di fattori assolutamente insignificanti. Fattori banali, ma sufficienti al gruppo A per percepire gli individui del gruppo B come avversari, solo perché la pensano diversamente.
Tutto questo sta alla base della Teoria dell’Identità Sociale.
Senza voler complicare le cose, vorrei solo che capissi questi tre tipi di meccanismi, che sintetizzerò per semplicità:
✅1️⃣Categorizzazione:
ciascun individuo si costruisce nella testa delle “categorie” sociali differenti, distinte in base a fattori che possono essere i più vari (sesso, età, status sociale, professione, religione, tifo calcistico, preferenza politica, …).
Egli tenderà a riconoscere tante più somiglianze tra isoggetti all’interno della
categoria di quante non ve ne siano realmente, e marcherà allo stesso tempole differenze con le categorie contrapposte.
categoria di quante non ve ne siano realmente, e marcherà allo stesso tempole differenze con le categorie contrapposte.
Questo meccanismo serve anche all’individuo per dare un senso alla realtà, perché attraverso questo si acquisiscono delle chiavi di lettura che consentono di comprendere quel che accade intorno.
✅2️⃣Identificazione:
è anche in base all’appartenenza a questo o a quel gruppo che ciascun individuo costruisce la propria identità sociale.Il proprio io, quindi, è definito anche in base a una o più categorie alle quali si ritiene di appartenere.
Pensa con quanta forza, convinzione e fierezza, molti individui amano definire sé stessi così: io sono comunista, io sono juventino, io sono cattolico,io sono ingegnere, io sono italiano, ecc.
Sentirsi parte di un certo gruppo significa disegnare con tinte più marcate itratti della propria personalità.
✅3️⃣ Confronto Sociale:
l’individuo confronterà continuamente il proprio gruppo d’appartenenza, l’ingroup, con l’outgroup opposto.
Ovviamente la valutazione in termini di valore sarà sempre completamente sbilanciata in favore dell’ingroup.
Il proprio gruppo è considerato sistematicamente migliore rispetto agli altri, che vengono svalutati, criticati, o a volte persino combattuti.
Implicitamente, se ci pensi, considerare il proprio ingroup migliore rispetto all’outgroup significa di fatto considerare sé stessi migliori degli altri.
Se il mio gruppo è migliore dell’altro, allora anche IO sono migliore.
Questo processo quindi serve anche a migliorare la propria autostima.
Per questa ragione, da questo processo deriva spesso anche la perenne necessità di confrontarsi con l’outgroup opposto, perché dimostrare la superiorità del proprio ingroup significa dimostrare anche la propria superiorità.
Rifletti sul bisogno che hanno alcuni gruppi di tifosi di affrontare gli avversari in strada a suon di spranghe e coltellate.
⬇️
Quando l’appartenenza a un dato gruppo riveste per l’individuo un’importanza estrema (pensa a quanto investimento emotivo alcunepersone mettano nell’appartenenza a una religione, un tifo, una professione, un gruppo politico, un’etnia, una gang giovanile, …), allora accade che tutti gli appartenenti a gruppi esterni diventino praticamente fantasmi, estranei senza dignità.
Tutti gli altri si trasformano in un ammasso informe e indistinto di individui percepiti come tutti uguali fra loro, e contemporaneamente diversissimi da noi.
Diversissimi, e quindi peggiori di noi.
————————————————————