Vale la pena
Quindicimila.
15.000.
Uno più uno meno.
Sai cos’è?
È il numero di giorni in cui una persona mediamente lavora in una vita.
Sembrano tantissimi eh?
Un’enormità.
Sembrano tantissimi, soprattutto perché il lavoro per molti è sinonimo di sacrificio, sudore, fatica.
E magari anche frustrazioni, rinunce, privazioni.
Quindicimila giornate passate a sgobbare per guadagnarsi la pagnotta.
Che è un modo metaforico per dire pagare un mutuo, far studiare figli, permettersi cure mediche.
E saldato questo, magari anche concedersi viaggi, guidare una macchina, vestire decentemente.
E guarda, prima che tu lo pensi, non staró qui a raccontarti che il lavoro è bello, e che quando fai le cose con passione, allora lavorare diventa un puro piacere.
Questa retorica motivazionale non mi appartiene.
PER ESSERE ANCORA PIÙ CHIARI, COSÌ TOGLIAMO OGNI DUBBIO SU COME LA PENSO: LAVORARE È UNA ROTTURA DI CATZO.
Sì.
Lo è.
Ora, vediamo di capirci.
Non è uguale per tutti.
Non stiamocela a raccontare.
C’è oggettivamente chi fa lavori poco invidiabili, e c’è chi si trova in una condizione migliore.
Ma anche per chi ha la fortuna di svolgere una professione che gli piace, di base se potesse scegliere farebbe altro.
Pensaci.
Adori quello che fai?
Hai costruito la tua professione in anni, e ti piace tantissimo?
Benissimo, buon per te.
Questo non toglie che se fossi nato coi triliardi in tasca dello sceicco di Dubai, imposteresti sicuramente le tue giornate diversamente.
E non mi dire di no che ti tiro un cazzotto sul naso.
Non inseguiresti clienti, non faresti sempre buon viso a cattivo gioco, non rinunceresti a nottate e weekend per rispettare una consegna.
Nulla di tutto ció.
Al contrario, investiresti il tuo tempo come più ti piace.
Non sto dicendo che te ne staresti con le mani in mano a contare i soldi sulla pancia.
No.
Anzi, se sei una persona attiva e sveglia, probabilmente useresti comunque il tuo tempo in modo proficuo, e sfrutteresti magari le tue competenze per costruire qualcosa di buono.
Ma ho una certezza: non lavoreresti come fai oggi.
Questo è sicuro.
Insomma, tutto questo per dire che chiunque lavori lo fa perchè è costretto a farlo.
Perché solo lavorare gli garantisce di mantenere (o aspirare ad ottenere un giorno!) il tenore di vita che desidera.
Quindi sí, va bene: posto che riuscire a svolgere una professione che ti piace è sicuramente meglio che svolgerne una che ti fa schifo, non è questo il vero nodo della questione.
Questa menata secondo cui se fai qualcosa che ti piace, ti sembrerá di non lavorare nemmeno un giorno della tua vita, è l’origine di molto mali.
Questa è la retorica che porta eserciti di talenti purissimi – ed è pieno di talenti! – a fare l’errore più grande: accontentarsi.
“È vero, non guadagno abbastanza per fare tutto quello che vorrei, peró quello che faccio mi piace”.
“È vero, lavoro duecento ore al giorno e non ho tempo di fare altro, peró quello che faccio mi piace”.
“È vero, sono considerato dall’ambiente come l’ultimo degli stronzi, peró quello che faccio mi piace”.
Possibile che l’aspirazione massima sia considerata “fare un lavoro che ti piace”?!?
Perché certo, rispetto a fare un lavoro di merda, fare qualcosa che ti piace è certamente un passo avanti.
Ma ciò non rende questo traguardo il migliore dei risultati!
Il migliore dei risultati è un altro:
👉🏼è essere
👉🏼realmente
👉🏼profondamente
👉🏼compiutamente
👉🏼gratificati da quello che si fa.
Gratificati sotto 3 aspetti:
✅ riconoscimento del proprio Valore da parte degli stakeholder
✅ aspettativa e visione di continua evoluzione
✅ guadagni che permettano di realizzare i desideri
Voglio dire, se devi srotolare una professione per ben 15mila lunghi giorni…essere riconosciuti nel proprio Valore, evolvere continuamente, e infine guadagnare bene, saranno risultati che ti meriti o no?!
O basta “fare una cosa che ti piace” per sentirti giá un privilegiato?
Quindicimila giorni di lavoro sembrano tantissimi.
Corrispondono a più di 40 anni.
Ma se pensi al tempo che hai per costruirti quella Triplice Gratificazione, ecco che in realtá non sono poi così tanti.
Fai che 3mila li passi a far gavetta, e aggiungi che gli ultimi 5mila sará ormai tardi per costruire se non lo hai fatto prima (ma sono invece eccellenti per consolidare e raccogliere i frutti), ecco che i giorni rimanenti per mettere il grosso dei mattoni sono solo 7mila.
Meno della metà.
Togli festività, ferie e weekend.
Perchè, è vero, molti professionisti tengono il cervello al lavoro anche nei giorni di festa, ma il mondo intorno comunque si ferma, per cui il processo per produrre risultati diventa più lento e legnoso.
Arrivi a poco più di 4mila giorni.
Mettici che a volte starai male, mettici le giornate-no, mettici gli imprevisti che ti allontaneranno dalla professione.
Ecco che il numero si erode ancora di più.
Mettici che farai decine, centinaia, se sei bravo anche migliaia (sì, più sei bravo e più ne fai) di tentativi a vuoto, di errori, di dietro-front.
Ecco, capisci quanto in realtá il tempo che hai per rendere solido, robusto e imponente il Palazzo della tua Professionalità sia molto limitato.
Sai cosa mi fa incazzare?
Mi fa incazzare che questo tempo sia usato malamente.
Perché si pensa che vedere riconosciuto il proprio Valore, avere un disegno di evoluzione continua, e disporre infine di un conto in tasca gratificante, siano Risultati per pochissimi eletti.
Non si tratta di diventare i numeri uno al mondo, nè milionari da un giorno all’altro.
Si tratta di godere della Triplice Gratificazione che merita qualsiasi professionista con sale in zucca e competenze.
E invece quanto tempo sprecato ad accontentarsi, quanto tempo sprecato a seguire una routine, quanto tempo sprecato a tenere bassa l’asticella.
Tremila giorni (pochi) per costruirla, quindicimila (tanti) per goderla.
Dai… vale la pena.