Vuoi sapere se avremo ancora bisogno di te?
Quest’estate mi trovavo in macchina, in autostrada.
Era metá agosto, e come me milioni di italiani partivano alla volta del mare o della montagna.
Auto cariche di valigie, portapacchi stracolmi, portabiciclette in bella vista.
Le auto sulla corsia di destra procedevano in modo vagamente ordinato, ad andature costanti, spesso inchiodando dietro ai tir.
Al centro il solito vespaio di macchine impazzite in cerca di un perchè.
Sulla sinistra vetture di grossa cilindrata sfareggiavano incollate alle utilitarie davanti, obbligandole a spostarsi al centro per farle passare.
Il termometro segnava 39 gradi all’esterno, e l’asfalto sembrava riflettere una mitragliata di palle di fuoco.
I volti delle persone, appena visibili in velocità, rivelavano immediatamente se all’interno dell’abitacolo l’ambiente fosse stemperato dall’aria condizionata oppure no.
Espressioni inequivocabili di sofferenza sul
volto facevano palesemente intendere se dentro vi fosse un forno a temperatura di fusione dell’acciaio.
Erano circa 6 ore che viaggiavo.
Portavo mia figlia, appena 4 mesi compiuti in quei giorni, verso regioni nordiche, dove l’avrebbero attesa refrigeranti giornate montane.
Mi aspettavano ancora un paio d’ore di strada, ed è stato uscendo dall’ennesima galleria che ho avuto una visione.
Cazxo, questa roba qui è veramente, ma veramente preistorica.
“Questa roba qui”, nella mia testa, era il viaggio in auto.
Col piede sull’acceleratore, le mani al volante, e l’occhio al retrovisore, d’un tratto non riuscivo più a vedere quel fiume di auto in corsa come le vedevo fino a pochi minuti prima.
Due minuti prima vedevo il consueto esodo di milioni di persone verso il meritato svago o riposo.
Due minuti dopo, in quelle stesse immagini vedevo i fotogrammi di un film di fine Ottocento.
Milioni (milioni!) di persone costrette ad accollarsi ore e ore di fatica, fra caldo torrido, tir barcollanti e colpi di sonno.
Perché parliamoci chiaro: non importa quanto ti piaccia guidare. Farlo per ore e ore, comunque tu la metta, è molto stancante.
Devi restare nella stessa posizione per un tempo lunghissimo e innaturale, non puoi permetterti distrazioni, devi tenere lo sguardo fisso avanti, sei continuamente sottoposto a micro-vibrazioni che ti picchiettano la schiena, e se te la stai facendo sotto devi tenertela.
Per non parlare dello stress derivante dal dover tenere costantemente d’occhio l’imbecille di turno che pensa di stare sul circuito di Monza, e ti entra da tutte le parti.
Eppure non hai scelta.
Se vuoi spostarti insieme ad altri passeggeri (ad esempio la tua famiglia), con molti bagagli, per dirigerti magari in zone impervie, il destino è segnato: tu, o qualcun altro al tuo posto, sarete costretti a sacrificarvi caricandovi sulle spalle l’onere della guida.
Che vuol dire, per parecchie ore, fatica fisica, stress mentale, e responsabilità.
“Ma a me piace guidare!”, dirà qualcuno.
E sticazzi che ti piace guidare, mio amico sciocchino.
Anche a me piace preparare chili di carne al barbecue per gli amici, ma questo non toglie che nel farlo il mio corpo si affatichi e il cervello debba stare per forza impegnato e focalizzato, se non voglio far danni.
Il fatto che nel 2019 milioni di persone siano ancora obbligate a faticare in prima persona per spostarsi è semplicemente anacronistico.
Come era folle che fino a fine Ottocento fossero tutti costretti a massacrare cavalli per muoversi da una cittá all’altra.
Fra non molto potremo finalmente starcene comodamente seduti a leggere un libro o a dormire, mentre la nostra auto a guida autonoma ci porta a destinazione.
La tecnologia per renderle ció realtá è già pronta.
E sarà giusto così.
Giustissimo.
Perché l’uomo non è fatto per faticare.
O meglio, non è nato per essere OBBLIGATO a faticare.
Dall’invenzione della ruota in poi, non abbiamo fatto altro che ideare e progettare tecnologie che ci consentissero di non faticare.
Sono trascorsi millenni, e ancora continuiamo a produrre strumenti che ci liberino sempre di più dalle catene dello sforzo fisico e dello stress mentale.
Questo processo è irreversibile.
Uno dopo l’altro, cadranno tutti gli obblighi.
Un pezzo alla volta, saremo sempre più in condizione di liberare la nostra mente e lasciarla creare e inventare, mentre mani e gambe potranno finalmente riposarsi e lasciare che un macchinario si sbatta al loro posto.
Fino ad oggi abbiamo visto questo meccanismo funzionare alla grande nel lavoro operaio.
Robot e macchine hanno liberato centinaia, migliaia, milioni di persone dal peso di dover sfiancare il proprio fisico.
Ma ormai non ci basta più.
Le intelligenze artificiali sono già oggi in grado di prendere le veci di tantissimi lavori di concetto, o che comunque fino a ieri necessitavano di un essere umano pensante per poter esser portati avanti.
I software già oggi guidano auto, fanno selezione del personale, conducono trattative.
È veramente difficile immaginare mansioni che una intelligenza artificiale non possa potenzialmente svolgere con eccellenti risultati.
Pensa un momento alla tua professione.
È fatta di attività che seguono in qualche modo delle procedure?
Ad esempio, l’avvocato applica delle leggi.
Forse un robot non potrebbe farlo?!
“Beh, ma l’avvocato non applica le leggi in modo meccanico, fa un lavoro di interpretazione caso per caso!”, dirai.
Ok, vero.
E mi stai dicendo che un robot non sarebbe in grado di elaborare milioni, miliardi, di casi passati e tirar fuori uno, due, tre scenari con soluzioni diverse, dopo aver esaminato le migliaia di combinazioni possibili diverse?
Pensaci bene.
Se il tuo lavoro è fatto di procedure da seguire, dati da analizzare, combinazioni da incrociare, sappi che non ci sarà più bisogno di te.
Quindi che futuro ci aspetta?
Non lo so, davvero.
Non ho sentito ancora un governo al mondo offrire delle chiavi di lettura, o disegnare un percorso plausibile da qui a vent’anni.
A livello collettivo, come societá, non vedo offerta di soluzioni.
A livello individuale invece hai solo una strada da percorrere: se non vuoi diventare facilmente sostituibile, diventa insostituibile.
Ci sono due cose che devi fare, e l’una senza l’altra è inutile:
1. Affinare le competenze nel tuo settore
2. Farle conoscere e preferire a tal punto, che per un certo target di persone non c’è altra scelta che te.
Io questa roba la chiamo Personal Marketing.
Ovvero marketing di se stessi.
E ne parlo in questo libro: “Rubare 7 segreti di Personal marketing a 7 politici di successo“. Clicca qui per leggere le recensioni e accaparrarti il libro!
Tu chiamala come cacchio ti pare, ma inizia a lavorarci adesso, perchè quegli scenari che ti sembrano tanto lontani, in realtá sono giá presenti e correnti, e si abbatteranno come un meteorite.